Pubblichiamo di seguito l’intervento che un membro del Direttivo di Legambiente Bologna ha tenuto presso il Circolo del PD Bruno Trentin. L’intervento – richiesto dal partito stesso – si situa come il contributo di un’organizzazione della società civile alla fase costituente del congresso avviato in seguito alla sconfitta nelle elezioni politiche del settembre 2022.
Buona Lettura
Nell’accogliere l’invito del circolo del PD Bruno Trentin, ho sottolineato l’importanza del confronto come valore per una associazione ambientalista come Legambiente attenta alle dinamiche delle forze politiche relativamente all’approccio sulle tematiche ambientali e ho sottolineato l’importanza che un circolo del PD apra le proprie “porte” ad una associazione ambientalista per misurarsi in una difficile fase costituente.
La crisi climatica accelera sempre di più la sua corsa insieme agli eventi estremi, che stanno avendo impatti sempre maggiori sui paesi di tutto il mondo, a partire dall’Italia.
Nei primi 10 mesi del 2022, seppur con dati parziali, sono stati registrati nella penisola 254 fenomeni meteorologici estremi (+27%) rispetto all’anno 2021.
Preoccupa anche il bilancio degli ultimi 13 anni: dal 2010 al 31 ottobre 2022 si sono verificati in Italia 1503 eventi estremi con 780 comuni colpiti e 279 vittime. Tra le regioni più colpite compaiono: Sicilia con 175 eventi estremi, Lombardia con 166, Lazio con 136, Puglia con 112, Emilia-Romagna con 107, Veneto con 101. La spesa pubblica x riparare i danni è ingente. Negli ultimi 9 anni sono stati spesi 13, 3 miliardi di euro di fonti assegnati per le emergenze climatiche (dati Legambiente Città Clima).
La drammatica frana ed i 13 morti di Ischia (l’ultimo disastro in ordine di tempo) è il frutto del combinato disposto di un evento estremo (170 ml di pioggia caduta nelle 24 h), incuria del territorio e abusivismo edilizio. E mentre continuiamo a registrare ogni anno disastri con morti in ogni angolo del nostro paese (di cui la fragilità è richiamata continuamente nella storia dell’Italia), il governo attualmente in carica ha pensato bene di tagliare i fondi per il dissesto idrogelogico, mantenendo la quota attuale x questo anno e tagliando i fondi del 25% per il 2024 e del 40% per il 2025. Quindi nel giro dei prossimi 2 anni i fondi per curare il dissesto idrogeologico sono tagliati del 65%.
L’occasione di questo confronto con una realtà territoriale del PD richiede franchezza e chiarezza di posizioni, non stanchi rituali, considerando le emergenze ambientali e climatiche di questa fase con cui tutti dobbiamo misurarci ai vari livelli di responsabilità che ci competono, come cittadini, come associazioni ambientaliste, come forze imprenditoriali, come forze politiche. E’ giusto mettere in rilievo le divergenze nette che si sono riscontrate tra Legambiente (e la rete degli ambientalisti bolognesi) e il Partito Democratico (partito di maggioranza relativa al governo della Regione e di diverse città emiliano-romagnole – tra cui la stessa Bologna), rispetto alla gestione della politica ambientale e su alcuni nodi locali in particolare, nella convinzione di ricercare punti di connotazione e di condivisione e di puntare ad attrezzarci tutti per affrontare le sfide ambientali e sociali enormi che sono davanti a noi.
Ci riferiamo in particolare all’emergenza climatica, quella stessa Emergenza Climatica che il 30 settembre 2019 il Comune di Bologna ha fatto propria sottoscrivendo la “Dichiarazione di Emergenza Climatica” con 2 ordini del giorno che impegnavano l’assemblea a promuovere azioni in grado di diminuire i livelli delle emissioni e farsi parte attiva con UE, Stato e regione affinché le emisssioni vengano abbattute del 30%. E l’emergenza non è frutto del caso, del destino avverso, ma riconduce direttamente alle responsabilità politiche, alle timidezze, alla mancanza di coraggio e alla subalternità culturale del ceto politico, con la conseguenza che si è affermato un modello di sviluppo espansionistico, basato sulla quantità, sulla crescita del PIL, sulla crescita dei consumi, sull’utilizzo di risorse naturale che non sono infinite e sono la causa principale dei danni che si stanno determinando a vari livelli nel rapporto tra uomo e ambiente. Ormai è chiaro che non c’è più tempo e non è la voce di gruppi marginali di catastrofisti o di ambientalisti da salotto, ma lo dice la comunità scientifica a livello mondiale: rimangono pochi anni per evitare danni ancora più gravi causati dall’aumento della temperatura del Pianeta (che interessa sempre più anche il bacino del Mediterraneo, il mare nostrum, il cui innalzamento della temperatura di oltre 2 gradi, è una delle cause degli eventi estremi e dei cosiddetti “medicane”, parenti stretti degli uragani che si sviluppano nelle aree tropicali del mondo). L’aggiornamento sul clima del World Meteorological Organization, pubblicato il 09 maggio scorso sottolinea espressamente una probabilità che la temperatura globale media annuale raggiunga la soglia di 1,5 gradi al di sopra del livello preindustriale. L’allarme lo lancia la terra: scioglimento dei ghiacciai, il PO in sofferenza estrema mai registrata prima a causa della mancanza di pioggia e con il fenomeno della salinizzazione che ha interessato i 40 km del tratto finale del fiume con pesanti ricadute sulle colture e sulle forniture idriche a partire dall’irrigazione dei campi. Si passa dallo scioglimento della calotta glaciale, dallo scioglimento del permafrost (con liberazione di carbonio) alla distruzione della barriera corallina, all’innalzamento del livello dell’acqua del mare (fermata finalmente dalle barriere del Mose funzionanti) ma che non ha impedito all’acqua del mare di invadere i territori costieri dell’adriatico (Ravenna, Cesenatico, Rimini).
La qualità ambientale dell’aria in pianura padana e nell’area bolognese, è a livelli allarmante con ricadute gravi sulla salute dei cittadini e con le sanzioni della UE per lo sforamento dei livelli di polveri sottile. Come si risponde all’emergenza climatica che lo stesso Comune di Bologna ha sottoscritto nel 2019 come anche la regione Emilia Romagna?
Il Comune di Bologna ha aderito ad aprile 2019 al patto dei Sindaci per l’Energia ed il Clima (PAESC) , decidendo di incorporare i due strumenti di governo del territorio (il PAES, piano azione energia sostenibile e il Piano di adattamento ai mutamenti climatici, del 2015 e a aggiornato nel 2018), per fare fronte alle sfide della decarbonizzazione e adattamento agli eventi climatici estremi. Quindi la domanda d’obbligo è se bastano i PAESC, i piani di adattamento, i PUMS, il nuovo regolamento edilizio, il nuovo regolamento del verde, il Patto per il Clima ed il Lavoro, per affrontare la sfida per contrastare i cambiamenti climatici, che è una sfida ineludibile.
E la risposta che Legambiente Bologna fornisce non è positiva. Ad obiettivi ambiziosi in linea con COP 21 di Parigi del 2015 e con le successive agende 30, non seguono piani coerenti, anzi la strada che si percorre è in coerenza con il recente passato con finanziamenti che continuano a privilegiare il fossile, alimentando modelli di consumi, che penalizzano il suolo (con livelli di consumo che collocano la Regione Emilia-Romagna nelle prime posizioni tra le regioni italiane), il verde, la vivibilità della città, la mobilità.
Un partito che manifesta la volontà di mettere ai primi l’ambiente deve essere in grado di mobilitare energie, competenze e saperi, in funzione di un cambiamento che deve investire le amministrazioni e la loro cultura di governo, in territori in cui ha la maggioranza del consenso. Per scendere più nel concreto e a scala più ridotta, facciamo riferimento all’area bolognese, che rappresenta un paradigma per limiti e potenzialità (basti pensare ad un quartiere come il quartiere Navile, in cui si concentrano tutte le contraddizioni di uno sviluppo non sostenibile, visto l’impatto dell’asse autostrada/tangenziale con l’ampliamento previsto o l’impatto dell’Aeroporto con i voli in continua crescita che interessano porzioni importanti del territorio). La mobilità bolognese è in sofferenza da anni x scelte incompiute o rimandate (completamento SFM) e si trova davanti alla prevista apertura dei cantieri del Passante, con un investimento di oltre due miliardi di euro, vantaggioso solo per la società autostrade, esempio e simbolo di un modello che promuove la mobilità individuale (su gomma e con l’uso di carbone fossili) a scapito di quella collettiva. La scelta dell’ampliamento del Passante non risolverà il problema del traffico (catalizzerà inevitabilmente più traffico) con l’aggiunta dell’allargamento della A13-14 ed altre possibili arterie stradali, con l’insediamento di altre 8 aree di distribuzione carburante a scapito del suolo agricolo. Si sdogana, quindi, quest’opera in mancanza di una indagine epidemiologica richiesta da molti cittadini e senza avere installato centraline di monitoraggio, previste 20 anni orsono ed in mancanza della realizzazione di 200 ettari di fascia boscata previsti il secolo scorso dalle giunte Zangheri ed Imbeni (a parte una quota irrisoria del 5% realizzata).
A meno di 8 anni dal 2030 come si può conciliare l’obiettivo ambizioso di una città Carbon Neutral con l’aumento ammesso e previsto da un lato ma quasi ignorato di CO2?
Come sarà possibile raggiungere l’obiettivo della diminuzione del 16% degli spostamenti in auto nell’area metropolitana prevista dal PUMS?
Siamo convinti (come eravamo convinti) che la priorità vada data al completamento del SFM, una metropolitana di superficie che doveva essere completata da almeno 10 anni, con treni con cadenza ravvicinata e perciò in grado di costituire una valida ed attrattiva alternativa all’uso delle auto. Così come gli investimenti sulle linee di tram anche nell’ambito del PNRR debbono rimanere una certezza finalizzata ad una logica trasportistica tesa ad integrarsi alle linee ferroviarie del trasporto regionale e locale, nonché alla stessa alta velocità e alle linee urbane di TPER, linee da potenziare soprattutto per soddisfare esigenze di mobilità nelle fasce serali e nelle giornate festive.
Occorre puntare sulla qualità del servizio pubblico e sull’estensione delle agevolazioni tariffarie che includano anche ambiti di gratuità in termini promozionali e per favorire le fasce più deboli.
Le strade dell’area metropolitana debbono prestarsi maggiormente alla sicurezza degli utenti deboli (ciclisti, pedoni), l’estensione di Bologna 30 a tutto il territorio deve essere parte di un piano organico di misure volte a rendere la città e l’area metropolitana più sicure e vivibili.
Riconosciamo lo sforzo compiuto (grazie alle indicazioni e al lavoro fatto dalla Consulta della bici e dagli ambientalisti bolognesi nel corso degli anni) ma siamo ancora lontani dalla realizzazione di una rete ciclabile messa in sicurezza, comprensiva di percorsi dedicati su strade ben collegate e funzionale agli spostamenti in sicurezza dei ciclisti.
Bologna nel cammino verso la riduzione delle emissioni deve investire molto di più sulle fonti rinnovabili, perché i dati sull’adeguamento degli edifici (a partire da quelli pubblici ) non sono soddisfacenti, occorre incrementare lo sviluppo delle comunità solari/energetiche e occorre che gli edifici pubblici (piscine, palestre, impianti sportivi in genere, scuole, strutture pubbliche etc.) si dotino di impianti che premino le energie rinnovabili. A noi risulta incomprensibile che la Sovrintendenza ai beni artistici e monumentali abbia bloccato il progetto di installazione di pannelli fotovoltaici sui tetti dell’autostazione di Bologna, pannelli che dovrebbero rendere autosufficiente dal punto di vista energetico tutta la struttura dell’autostazione. Le osservazioni della sovrintendenza rendono piu’ costoso l’intervento e meno efficace dal punto di vista dell’autosufficienza. Noi crediamo che l’impatto di pannelli fotovoltaici sulla Montagnola sia assolutamente compatibile con la collinetta e invece sia un utile contributo sulla strada della dimunizione della dipendenza dai fossili.
Non possiamo,altresi’, trascurare gli effetti dell’inquinamento acustico provocati dall’aumento incontrollato dei voli che interessano l’aeroporto Marconi. Occorre che il Comune eserciti un ruolo più attivo nell’ambito del ruolo che riveste nella società aeroportuale e soprattutto per il ruolo di rappresentanza degli interessi della città, perché si affermino procedure di maggiore rigore nelle fasce orarie notturne e mattutine di non sorvolo.
Una particolare attenzione deve essere rivolta alla cura del sistema delle acque della città (come previsto dal piano di adattamento dei mutamenti climatici), a partire da uno dei canali storici della città come il Canale Navile, a cui grazie ad una mobilitazione significativa di cittadini e del comitato che si è costituito (Comitato Salviamo il Canale Navile) è stato effettuato un importante intervento di risanamento. Affinchè tale intervento possa avere un senso compiuto, oltre agli interventi di risanamento e manutenzione effettuati, occorre procedere con urgenza fermando gli scarichi abusivi che riversano nel canale (106 scarichi abusivi dalla Bova al Sostengo di Corticella), segno di intollerabile inciviltà.
Caldeggiamo la nascita di un museo naturalistico all’aperto (che abbiamo già proposto al Comune, senza avere grandi riscontri) volto al pieno recupero e alla valorizzazione del patrimonio naturalistico dell’ecosistema che si è sviluppato nell’area del Canale e del patrimonio archeologico costituito dal sistema dei sostegni che regolavano le acque del Canale.
Nel concludere confermo che come Legambiente siamo disponibili a modelli di partecipazione che rispettino la volontà dei cittadini, non a forme di partecipazione di facciata, che si riducono ad esercizi puramente formali che non incidono sulle scelte del decisore politico.
Sarà un bene per il riavvicinamento alla politica, per un rinnovato interesse dei cittadini che le scelte amministrative non vengano calate dall’alto ma vengano fatte con spirito costruttivo e condivisione e che siano rispondenti ai bisogni della collettività e ai bisogni drammaticamente urgenti che l’emergenza climatica impone.
Nino Pizzimenti
Direttivo Legambiente Bologna